Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


domenica 27 febbraio 2011

Cinque voci, otto assassinii e una bomba



Il luogo esatto dove è morto Yasser Qudaih
Khuza'a è un villaggio nella parte sud della striscia di Gaza, sotto il governatorato di Khan Younis. Ci sono circa 12mila abitanti, il centro è a poco più di un chilometro dal confine israeliano e le limitazioni di movimento create dalle forze di occupazione sono notevoli. Il fatto che sto per raccontare si svolge a Khuza'a, il 13 gennaio 2009, durante l'attacco genocida e terrorista di Israele detto “piombo fuso”. Non è l'unico episodio riferito a questo villaggio, e certamente non è nemmeno il più tremendo di quel periodo, ma vale la pena raccontarlo.

I personaggi narranti sono cinque diversi abitanti, tre donne e due uomini, che direttamente o indirettamente hanno vissuto quel momento.


Nada Aburoch
Nada Aburoch, 53 anni, donna:
Durante l'invasione di due anni fa, durante l'attacco genocida durato 3 settimane, Israele usava contro di noi il fosforo bianco ed altre armi tremende, i miei 2 figli maggiori Mamdouh (22anni) e Medhat Aburok (17 anni) aiutavano il vicinato prestando il primo soccorso, anche se non avevano nessun certificato o particolare competenza; era orribile, la gente moriva e le ambulanze non potevano arrivare il tempo perchè i cecchini continuavano a sparare... Il mio figlio più grande, Mamdouh, stava studiando scienze informatiche all'università, e contemporaneamente lavorava in un ristorante per pagarsi gli studi. Dopo l'attacco israeliano con il fosforo bianco a Khuza'a (intorno al 10 gennaio) noi ce ne siamo andati con tutta la famiglia, e i miei 2 figli maggiori sono rimasti li. Volevano presidiare la casa perchè non venisse abbattuta e continuare ad aiutare il vicinato. Ero molto preoccupata, e quello che è successo dopo ha confermato i miei peggiori incubi”

Sabrin Qudaih, 35 anni, donna:
Mio marito Yasser Qudaih commerciava frutta e verdura, qualche cosa coltivavamo anche qui di fronte. Durante la guerra ci siamo allontanati da Khuza'a perchè era pericoloso, ci eravamo rifugiati ad Abusan (villaggio vicino) a casa di mia sorella, perchè li era più sicuro. Mio marito era tornato durante il cessate il fuoco per vedere come era la situazione: ci avevano detto che gli israeliani stavano distruggendo tutte le case disabitate, così voleva tornare a vedere cosa stava succedendo. Pensava di essere al sicuro durante il cessate il fuoco, ma non è stato così.”


Gada Quiah, 34 anni, donna:
Mohammed Qudaih aveva 15 anni, era il mio figlio maggiore. Era appassionato di calcio, giocava in una piccola squadra locale e gli piaceva molto. A scuola era il primo della classe, la maestra lo ricorda con affetto, è venuta anche qui a farmi visita una volta.
Poiché durante l'invasione, si sa, non avevamo corrente elettrica, ricaricavamo i cellulari al negozio di fronte casa che aveva il generatore. Era il cessate il fuoco e il mio bambino era andato a prenderli... quando è successo il disastro si trovava giusto di fronte a casa, proprio qui davanti.”


Salem Mohammed Odeh
Salem Mohammed Odeh, 31 anni, uomo:
Tutto è successo durante il cessate il fuoco. Le forze israeliane avevano concesso 3 ore di cessate il fuoco al giorno, ed in quelle 3 ore i tanti che erano scappati nei villaggi vicini approfittavano per venire a controllare le proprie case e prendere cose che servivano. Anche chi non era scappato sfruttava il momento per uscire a comperare i beni di prima necessità nei pochi negozi che aprivano.
Qui siamo al primo piano e giusto sotto casa c'è un negozio di alimentari. Sono sceso un momento per comperare qualcosa, c'era un gruppetto di persone che si era radunato davanti alla bottega. Ricordo che stavano parlando di un tizio che stava scappando da casa sua perché era troppo vicina al confine e preso dal panico aveva bussato alla porta sbagliata, non ricordo con esattezza... stavo dicendo a questa gente di non radunarsi, di non stare tutti assieme, di disperdersi perché anche se hanno dichiarato il cessate il fuoco non c'è da fidarsi degli israeliani...in cielo c'erano una zannana (drone) e due apache (elicotteri) delle forze di occupazione.
Sono stato colpito dall'esplosione alla gamba sinistra, perdevo molto sangue, e mi hanno portato in ospedale con la stessa ambulanza con cui trasportavano i corpi dei morti. Mentre aspettavo in ospedale ho visto arrivare talmente tanta gente che avevo paura che tutta Khuza'a fosse morta o ferita”

Sabrin Qudaih: “mio marito Yasser era appunto andato a vedere in che stato fosse la nostra abitazione, e a prendere i vestiti dei bambini. Quando ho sentito l'esplosione ho telefonato a Khuza'a per sentire se mio marito stava bene, ed all'inizio mi hanno detto di si, mi hanno detto che mio cognato era morto. Quando ho scoperto che mio marito era stato assassinato durante quell'esplosione, è stato un trauma fortissimo. La bomba scaricata dall'Apache lo ha sorpreso giusto fuori dalla porta di casa sua, mentre parlava con un gruppo di ragazzi che si trovava fuori dal supermercato. Era proprio appoggiato al muro, ad un metro di distanza dal cancello...”

Nadra Aburoch: “I miei 2 figli maggiori, dopo 3 giorni lontani dalla famiglia in cui controllavano che non accadesse nulla alla nostra casa e in cui prestavano soccorso al vicinato avevano finalmente deciso di raggiungerci a Khan Younis. Il maggiore, Mamadouh, aveva trovato un'automobile e si area fermato un momento al negozio per predere Medhat e comperare uno snack. Dopo l'esplosione hanno trovato parte dello snack in bocca al cadavere e parte nella tasca dei pantaloni”

Gada Quiah: “davanti al negozio di fronte casa dove il mio bambino era andato a caricare la batteria del cellulare si era radunata un po' di gente, ed ho sentito un grande botto. La strada era piena di sangue e pezzi di corpi dei morti, era terribile, c'erano vetri ovunque perchè tutte le finestre dell'edificio dove c'era il negozio sono andate in frantumi, anche quelli dell'abitazione al primo piano. Mio figlio non è morto subito, è morto dopo un'ora, l'avevano portato all'interno del negozio dove stavano tutti aspettando l'ambulanza... conservo ancora i jeans che portava addosso in quel momento.

Il negozio di Naji Qudaih
Naji Qudaih, 49 anni, è il proprietario del piccolo supermercato di fronte al quale è avvenuta l'esplosione. Ha spostato il negozio di un centinaio di metri sulla stessa strada, il negozio è molto piccolo, grande come una stanzina, quando lo abbiamo intervistato non c'era corrente e la poca luce entrava dalla porta di metallo aperta.
Avevo aperto il negozio durante il cessate il fuoco, anche per fornire un servizio agli abitanti del villaggio che avevano bisogno di rifornirsi di beni di prima necessità e di elettricità per caricare le batterie dei cellulari, avevo infatti il generatore acceso. Si era radunato qualcuno, ed un Apache la sganciato una bomba esattamente dove la gente si era fermata a parlare. Dopo l'esplosione abbiamo portato i feriti dentro al negozio per fornire un primo soccorso, perché era un'area pericolosa e le ambulanze ci mettevano tantissimo per arrivare. L'ambulanza è arrivata dopo 45 minuti... non tutte le vittime sono morte al momento, 3 ci hanno messo più tempo, ricordo in particolare un ragazzino di 15 anni (Mohammed Qudaih), era stato colpito alla testa, ma quando è entrato nel negozio era ancora vivo. Se l'ambulanza fosse arrivata in tempo forse si sarebbe salvato.”

Otto palestinesi, padri di famiglia e ragazzini con delle vite “normali”, uccisi mentre chiacchieravano davanti ad un supermercato, da una bomba lanciata da un elicottero Apache israeliano:
YASSER QUDAIH, 34 anni, sposato, 5 figli
MOHAMMED QUDAIH, 15 anni
MAMDOUH ABUROUK, 22 anni
GASSON ABUZER, 23 anni
ALAÀ ABURIDA
SULIMAN QUDAIH
MAMDOUH MOUSAID QUDAIH

Salem Mohammed Odeh: “C'erano pezzi di corpi delle persone ammazzate in tutta la strada, alcuni pezzi hanno raggiunto anche la mia terrazza, in particolare un pezzo di un braccio... altri brandelli di carne sono stati trovati il giorno dopo vicino all'albero qui di fronte, una scena che non dimenticherò mai! Se penso che i media israeliani sono arrivati a sostenere che si trattasse di militanti della resistenza...come si può pensare che sia vero? In questo villaggio è tutto piatto, dal confine possono vedere tutto, non è il posto adatto per azioni di resistenza armata, erano tutti civili, indossavano abiti civili... Yasser si trovava giusto di fronte all'entrata di casa, fosse stato parte della resistenza non sarebbe stato li! Ricordo almeno altri 3 feriti oltre a me: Hamdam Qudaih aveva una brutta ferita con un frammento che gli era entrato in testa, però è riuscito ad avere un'operazione in Egitto ed ora è guarito, Idah Qudaih aveva schegge e frammenti in tutto il corpo, lo hanno operato non appena entrato in ospedale, e si è salvato. Ricordo di Medath che aveva 17 anni ed una grossa scheggia nello stomaco”

Nadra Aburoch: “il mio figlio secondogenito, Medath, aveva ferite e frammenti nelle gambe e nello stomaco, lo hanno operato ma non sono riusciti ad estrarre tutti i frammenti, talvolta se ne sentono ancora al tatto sotto la pelle e gli fanno molto male soprattutto quando fa freddo..un paio di mesi fa ne è stato estratto uno dal piede e giusto ieri se ne poteva sentire uno sottopelle vicino al ginocchio. Credo che col passare del tempo si muovano naturalmente verso la pelle, dopo si possono estrarre, ma provocano molto dolore. Oggi Medath ha problemi psicologici, è molto nervoso, fa fatica a sostenere una conversazione rimanendo calmo; io ho diabete ed alta pressione, un altro mio figlio di 11 anni piange spesso ed ha avuto bisogno di supporto psicologico, che gli è stato fornito da un'associazione locale.”

Gada Quiah: “Hanno ammazzato senza ragione il mio bambino di 14 anni, il mio primogenito. Ho pianto tanto. Non riuscivo più a risollevarmi...la porta di casa nostra inizialmente dava sulla strada dove è successo il massacro, oggi ne ho aperta un'altra su una strada laterale, perché ogni volta che uscivo di li stavo male, rivedevo con gli occhi della mente il sangue ed i brandelli di corpi nella strada, rivedevo mio figlio con la testa rotta, rivedevo il mio bambino morto. Ho seguito un trattamento psicologico per superare il trauma, devo sostenere mia figlia di 8 anni che si sveglia la notte e viene a cercare mamma e papà piangendo e si agita appena sente il suono di aerei o elicotteri. tutti i miei 4 figli hanno visto l'orrore in quella strada, i brandelli di carne dopo l'esplosione, e sono tutti più piccoli di quello che è stato assassinato: si porteranno dentro l'incubo per sempre... Stavamo giusto pensando di abbandonare la casa quando è successo il massacro”

Quattro dei figli di Sabrin Qudaih
Sabrin Qudaih: “ora che è morto mio marito, che era quello che lavorava in casa, viviamo di aiuti. Lo shock per me è durato un anno, e devo allevare 5 figli da sola, volevo molto bene a mio marito. Noi palestinesi vogliamo siano rispettati i nostri diritti, Israele deve essere punito per tutti i crimini che ha commesso durante l'attacco genocida di 2 anni fa e che compie ogni giorno. I media israeliani sono bugiardi, mio marito non era nella resistenza, era un civile! Cosa credi, che lo avrebbero ammazzato di fronte a casa fosse stato nella resistenza? Sono stati massacrati bambini, nessuno aveva armi, si erano radunati solo perché c'era un negozio vicino, e, soprattutto, tutto è successo durante il cessate il fuoco!”

Naji Qudaih: “Sono certo che nessuno tra i feriti che hanno portato nel mio negozio aveva vestiti che si possano ricondurre alle uniformi della resistenza. Nessuno ne' tra i feriti ne' tra la gente che si era radunata era armato. Tutto l'occidente parla tanto di diritti umani, ma è un riempirsi la bocca di parole inutili, perché quando si tratta dei nostri diritti umani non muovono un dito, quando si tratta dei crimini di Israele contro la nostra gente nessuno nell'occidente prende posizione. Quando è Israele a violare i diritti umani i fatti vengono sistematicamente ignorati.”

Il caffè di Gada Quidah
Gada Quiah: “Israele ha colpito quelle persone solo perché si erano radunate, non fa assolutamente nessuna distinzione tra civili e resistenza, tra adulti e bambini. Nessuno mi potrà più portare indietro il mio bambino. Gli israeliani sono dei barbari. Perché uccidono i bambini palestinesi in questo modo? Perché i nostri bambini non possono avere una vita come tutti gli altri bimbi?”

Salem Mohammed Odeh: “Anche in Libano Israele ha bombardato gli asili, si comporta alla stessa maniera in tutti i paesi, ovunque uccide i civili disarmati. E sai perchè lo fa? Perchè a tutto il mondo non importa, perchè tutti se ne infischiano, perchè quando compie questi crimini guardano tutti dall'altra parte. Gli stati, le istituzioni, l'ONU, tutti tacciono. Nessuno gli dice di fermarsi. Nessuno.”




Segni lasciati sulla strada dalla bomba

martedì 15 febbraio 2011

Essere contadini a Gaza

Bulldozer israeliano
“Chi semina buon grano, ha poi buon pane”, recita il proverbio. Ma per avere un buon pane, cioè un buon raccolto, è necessario prima di tutto poter accedere alla propria terra, è necessario che le forze di occupazione non lo impediscano sparandoti contro. È necessario poter irrigare, è necessario che l'esercito israeliano non bombardi il pozzo che usi per raccogliere l'acqua. È necessario, inoltre, che non arrivino bulldozer, scortati da carri armati, a distruggere quanto è stato seminato.

Jaber è magro e non molto alto, ha la carnagione abbronzata, zigomi sporgenti e mani callose. Parla poco, è paziente Jaber, ma anche molto deciso. Viene da una famiglia di agricoltori, ha 45 anni, e da quando ne aveva sei aiutava suo padre a prendersi cura dei mandorli. Il terreno che coltiva si trova tra i 300 e i 500 metri dal confine, e lavora nell'incertezza di poter vedere i frutti della sua terra. Cinque anni fa le forze di occupazione hanno dato fuoco al suo campo di grano al momento del raccolto, mandando in fumo il lavoro e gli investimenti di un anno. I pompieri non sono potuti arrivare in tempo, perchè, a causa della vicinanza del campo alla no-go zone unilateralmente dichiarata dalle forze di occupazione, necessitavano del coordinamento col l'esercito israeliano, e questo coordinamento non è arrivato. Circa un anno fa i bulldozer hanno distrutto buona parte della sua casa, che si trovava a circa 400 metri dal confine, il piccolo allevamento di galline, 40 dunam di grano, 3 dunam di ulivi, e 3 dunam di verdure. Racconta che se non fosse uscito in tempo dalla sua casa con la sua famiglia la avrebbero demolita con loro dentro. Oggi Jaber coltiva cipolle nel terreno dove c'era la sua vecchia abitazione.

Israele ha dichiarato unilateralmente “no-go zone” la fascia di terreno che corre vicino al confine fino ad una distanza di 300 metri. Quest'area è completamente inaccessibile per i palestinesi, anche per chi lì aveva le sue terre e le coltivava. Ma secondo un rapporto ONU l'area in cui l'accesso è “ad alto rischio” arriva fino ad un chilometro e mezzo, talvolta due chilometri di distanza dal confine. Il 35% delle terre coltivabili di Gaza si trovano in questa zona “ad alto rischio”, e per i contadini è difficile o impossibile riuscire a raccogliere frutti dai loro terreni situati in quest'area. La politica israeliana in proposito ha tutto l'aspetto di voler semplicemente impedire ai contadini di coltivare la loro terra, e di poter raggiungere una qualche forma di autosufficienza alimentare.
Sempre Jaber racconta: “Prima coltivavamo mandorle, poi Israele ha iniziato a riempire i nostri mercati di mandorle, facendo artificialmente calarne il prezzo, così chi coltivava i mandorli ha convertito le coltivazioni in qualcos'altro, poi hanno ritirato le loro mandorle ed il prezzo è di nuovo aumentato, ma noi non avevamo più mandorli. La stessa cosa è successa con le arance. Durante la prima intifada, chiudendo i confini ci hanno impedito di esportare ortaggi, ed al tempo stesso hanno impedito ai fertilizzanti di entrare...e da allora le cose sono andate sempre peggio.”


Area nord, il muro è visibile sullo sfondo a destra, le costruzioni sono quelle del valico di Erez

Ibrahim vive a Khuza'a, al sud della striscia. La sua casa è stata distrutta durante la guerra, e non può accedere al terreno che coltiva. Ha un trattore per arare, ma anche con questo c'è poco lavoro, infatti dove vive lui la maggior parte dei terreni coltivabili sono a poche centinaia di metri dal confine, e i contadini non vi possono accedere. Anche Yusef è di Khuza'a, ed ha due terreni, uno di 8 dunam e l'altro di 24, li coltivava entrambi a grano per fare il pane. Il terreno di 8 dunam non è più accessibile, si trova a 200 metri dal confine, mentre l'altro, a 300 mettri dal confine, non viene coltivato da 2 anni perchè quando prova a recarvisi le forze di occupazione iniziano a sparare.

Abu Taima, anch'egli al sud, racconta come all'inizio le forze di occupazione abbiano distrutto gli aranci, e poi non abbiano permesso la coltivazione nemmeno di grano ed altri vegetali, sebbene molto più bassi degli alberi. Nel 2008, nel 2009 e nel 2010 ha coltivato la sua terra, ma i bulldozer israeliani la hanno distrutta prima del raccolto. Sparano ai contadini che vanno a coltivare, e poi sradicano le coltivazioni. Sparano ed uccidono anche il bestiame, le pecore portate a pascolare, l'ultima pecora uccisa si trovava a 700 metri dal confine. I soldati sionisti sparano quando c'è nebbia, senza vedere chiaramente cosa colpiscono. “Avevo 50 dunam di terra, ora non si possono più coltivare. C'erano dieci persone che lavoravano per me, e ciascuna di esse aveva una famiglia di dieci persone. Oggi tutti questi lavoratori sono disoccupati, e dipendono da programmi assistenziali o aiuti umanitari.”

L'ultimo contadino ammazzato da Israele aveva 65 anni e si chiamava Shaban Kharmoot, è stato colpito a Beit Hannoun, al nord, con 3 proiettili: uno al collo, uno al petto ed uno all'addome perchè stava coltivando la sua terra esattamente come aveva fatto negli ultimi 40 anni, e non aveva altre alternative per mantenere la sua famiglia.

fori causati da proiettili sul telo di una serra
Sono numerosissimi i terreni che per almeno un anno non hanno portato frutto a causa della contaminazione da fosforo bianco usato durante l'invasione israeliana “piombo fuso”: ulivi dalla foglie distrutte, terreni contaminati che davano frutti avvelenati. Sono state avvelenate così le falde acquifere, sono stati bombardati pozzi, e l'accesso all'acqua è diventato uno dei principali problemi dei contadini. In particolare nell'area di El Kharrara un pozzo situato a più di 2 km dal confine e che forniva acqua potabile e per l'irrigazione di 700 dunam di terra da cui dipendono 5000 persone, è stato bombardato durante piombo fuso e, poiché solo poche famiglie possono permettersi il trasporto nelle cisterne di grosse quantità di acqua per irrigare, questo ha causato fortissimi problemi per l'agricoltura. I fori dei proiettili nei teli che costituiscono le serre hanno permesso ai parassiti di entrare, e a causa dell'assedio illegale non è possibile importare pesticidi e fertilizzanti. Nell'area di Faraheen i soldati sparano ai contadini, e le mine rimaste sul territorio impediscono ai lavoratori di coltivarlo. Inoltre nelle frequenti incursioni vengono colpite solo o soprattutto le piante pronte a dare frutto, che hanno richiesto fatica e denaro per arrivare a maturazione: viene per esempio lasciato in vita un ulivo di di tre anni e sradicato uno di sei.

In un territorio già stremato da un assedio che non permette l'importazione di molti beni essenziali, che crea povertà e disoccupazione in una delle aree più popolate del mondo, questa esplicita politica di attacco ai contadini e all'agricoltura in generale è un'ulteriore crimine che si va a sommare alla lunghissima lista di cui Israele è colpevole. L'UNRWA, l'ente dell'ONU per i rifugiati, provvede per alcune famiglie con donazioni di cibo trimestrali, ma è estremamente cinico fornire assistenzialismo nei casi in cui forze di occupazione, contro ogni accordo internazionale, impediscono ad un popolo di coltivare il suo pane e provvedere al suo stesso sostentamento.

Saber racconta:
“Era calmo e tranquillo nell'area vicino al confine, sette del mattino, venerdì. Mi sono recato col mio trattore a 300 – 350 metri dal confine. Volevo coltivare perchè era tutto tranquillo: se avessi sentito degli spari avrei avuto paura e non ci sarei mai andato. Quando ho raggiunto la mia terra, hanno cominciato a sparare, hanno distrutto il trattore. Il referto medico dice che questo mi ha causato problemi psicologici e psicosomatici: panico a livello mentale e tensione a livello fisico, battito cardiaco alterato, ed ho iniziato a prendere medicine. È successo nel dicembre 2007.”
Ovvio che sapevano che ero un contadino! Indossavo indumenti da lavoro, guidavo un trattore. Un trattore per arare, non un carro armato: non lo riconoscono forse quando lo vedono? Hanno binocoli con cui ci possono monitorare da decine di chilometri di distanza, mi hanno riconosciuto. Sapevano che ero un contadino, e la prova è che dopo hanno chiesto scusa sostenendo fosse un incidente. Possono contarmi i peli della barba, come potevano non sapere che sono un contadino? No, sapevano che ero un contadino, e mi hanno sparato di proposito, perché sono un contadino e non vogliono che io stia qui nella mia terra.


Yusef, contadino a Khuza'a

lunedì 14 febbraio 2011

Cinque poesie di Mahmoud Darwish


Mahmoud Darwish è nato nel 1941 nel ad al-Birweh, villaggio raso al suolo nel 1948, durante la Nakba, la pulizia etnica della Palestina.
I suoi genitori si sono rifugiati in Libano e sono stati tra i pochi a riuscire a tornare illegalmente nella terra d'origine dopo un anno, senza nessun diritto civile o cittadinanza. A causa di questo ha passato diversi anni in prigione, e non ha potuto terminare gli studi nella sua terra. Ha vissuto buona parte della sua vita in esilio. È morto il 9 agosto 2008.



Potete legarmi mani e piedi
togliermi il quaderno e le sigarette
riempirmi la bocca di terra:
la poesia è sangue del mio cuore vivo
sale del mio pane, luce nei miei occhi.
Sará scritta con le unghie, lo sguardo e il ferro,
la cantero’ nella cella mia prigione,
al bagno
nella stalla
sotto la sferza
tra i ceppi
nello spasimo delle catene.
Ho dentro di me un milione di usignoli
per cantare la mia canzone di lotta.



PROFUGO

Hanno incatenato la sua bocca
e legato le sue mani alla pietra dei morti.
Hanno detto: "Assassino!",
gli hanno tolto il cibo, le vesti, le bandiere
e lo hanno gettato nella cella dei morti.
Hanno detto: "Ladro!",
lo hanno rifiutato in tutti i porti,
hanno portato via il suo piccolo amore,
poi hanno detto: "Profugo!".
Tu che hai piedi e mani insanguinati,
la notte e` effimera,
ne` gli anelli delle catene sono indistruttibili,
perche` i chicchi della mia spiga che va seccando
riempiranno la valle di grano.



PENSA AGLI ALTRI

Prepari la tua colazione pensa agli altri(non dimenticare il cibo per i piccioni)
Combatti la tua guerra
pensa agli altri(non dimenticare chi chiede la pace)
Paghi la bolletta dell’acqua
pensa agli altri(chi si nutre di nubi)
Torni a casa la tua casa
pensa agli altri(non dimenticare la gente nelle tende)
Dormi e conti le stelle
pensa agli altri(chi non ha spazio per dormire)
Liberi l’anima con le metafore
pensa agli altri(chi ha perduto il diritto di parola)Pensi agli altri lontani
pensa a te stesso
(dì: magari fossi candela nel buio)



CANTANDO PER LE STRADE

Cantando per le strade, per i campi,
il nostro sguardo fara` scaturire l`osservatorio
dal posto piu` lontano
dal posto piu` profondo
dal posto piu` bello,
dove non si vede che l`aurora,
e non si sente che la vittoria.
Usciremo dai nostri campi
Usciremo dai nostri rifugi in esilio
Usciremo dai nostri nascondigli,
non avremo piu` vergogna, se il nemico ci offende.
Non arrossiremo:
sappiamo maneggiare una falce,
s appiamo come si difende un uomo disarmato.
Sappiamo anche costruire
Una fabbrica moderna,
una casa,
un ospedale,
una scuola,
una bomba,
un missile.
E sappiamo scrivere le poesie piu` belle.



CARTA D’IDENTITÁ 

Ricordate!
Sono un arabo
e la mia carta d’identitá è la numero cinquantamila.
Ho otto bambini
e il nono arriverá dopo l’estate.
V’irriterete?

Ricordate!
Sono un arabo
impiegato con gli operai della cava
ho otto bambini
dalle rocce ricavo il pane,
i vestiti ed i libri.
Non chiedo la caritá alle vostre porte
nè mi umilio ai gradini della vostra camera
percio’, sarete irritati?

Ricordate!
Sono un arabo
Ho un nome senza titoli
e resto paziente nella terra
la cui gente è irritata.
Le mie radici
furono usurpate prima della nascita del tempo
prima delle aperture delle ere
prima dei pini e degli alberi d’ulivo
e prima che crescesse l’erba.

Mio padre... viene dalla stripe dell’aratro,
non da un ceto privilegiato
e mio nonno era un contadino
nè ben cresciuto
nè ben nato!

Mi ha insegnato l’orgoglio del sole
prima di insegnarti a leggere,
e la mia casa è come la guardiola di un sorvegliante
fatta di vimini e paglia:
siete soddisfatti del mio stato?
Ho un nome senza titolo

Ricordate!
Sono un arabo.
E voi avete rubato gli orti dei miei antenati
e la terra che coltivavo
insieme ai miei figli,
senza lasciarci nulla
se non queste rocce
e lo stato prenderá anche queste.
Come si mormora.

Percio’!
Segnatelo in cima alla vostra pagina:
non odio la gente
nè ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamanto
la carne dell’usurpatore diventa il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
Alla mia collera
ed alla mia fame.

domenica 13 febbraio 2011

Manifesto della Freeedom Flotilla2

Ricopio il manifesto della freedom flotilla, mi sembra bellissimo!
  1. Rispettiamo i diritti di ogni essere umano, indipendentemente dalla sua identità e sesso, religione, nazionalità, cittadinanza o lingua. 
  2. Aderiamo, senza eccezione alcuna, ai principi della non violenza e della resistenza non violenta in tutto quello che diremo e che faremo con la Freedom Flotilla. 
  3. Ci riconosciamo nei valori fondamentali dell’antifascismo, della solidarietà e del diritto all’autodeterminazione dei popoli. 
  4. Crediamo che il popolo palestinese, sia coloro che legittimamente risiedono nei territori occupati da Israele, sia tutti i rifugiati a cui è impedito di ritornare alle proprie legittime abitazioni in Palestina, debbano avere libero accesso ad acque e spazi aerei internazionali, così come sancito dalle risoluzioni delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale. 
  5. Crediamo che il popolo palestinese che legittimamente risiede nei territori occupati da Israele, dovrebbe essere libero dall’occupazione a cui è sottoposto e avere il pieno controllo di tutto ciò che entra o esce da quei territori senza alcuna interferenza da parte di Israele. 
  6. Crediamo che il primo passo da compiere per il raggiungimento di una giusta e duratura pace, sia il ritiro da parte di Israele della sua presenza militare da tutti i territori occupati e la revoca immediata di tutte le leggi, regolamentazioni,  direttive e procedure pensate per essere applicate in modo diverso per le diverse popolazioni che vivono in quei territori. 
  7. Crediamo che Israele debba distruggere tutte le barriere costruite per limitare o impedire il passaggio e il transito all’interno di tutti i territori occupati. 
  8. Crediamo che Israele debba riconoscere ai cittadini arabo-palestinesi residenti in Israele tutti i diritti fondamentali in totale equità rispetto ai cittadini Israeliani. 
  9. Siamo solidali con il popolo palestinese, indipendentemente dalla situazione politica interna palestinese. 
  10.  Riconosciamo a tutti i rifugiati ed esiliati palestinesi, e ai loro discendenti, il diritto di ritornare immediatamente alle loro case in Israele e nei territori occupati, il diritto di rientrare in possesso delle loro proprietà e di ricevere una giusta compensazione a risarcimento dei danni e dell’espropriazione subiti e dell’uso illegale che di queste proprietà è stato fatto, così come è sancito dal diritto internazionale. Questo diritto è innanzitutto un diritto individuale e non collettivo e non potrà essere discusso e negoziato se non da parte del singolo. 
  11.  Sosteniamo il movimento e la campagna BDS per il boicottaggio di prodotti israeliani, il disinvestimento da attività commerciali in Israele, sanzioni sullo Stato di Israele e il boicottaggio accademico o culturale degli israeliani che non prendono posizione contro l’occupazione e l’Apartheid.

martedì 8 febbraio 2011

Prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane

Il mio pezzo per Wake Up News

Tutti i lunedì alla sede della Croce Rossa si trovano quasi un centinaio di persone. La maggior parte sono donne. Tengono in mano foto di figli e mariti. Raccontano di essere davanti alla sede della Croce Rossa perchè essa è l’unica organizzazione che può comunicare con i loro parenti, detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.
Aysha Abujazan, donna di 55 anni proveniente da Rafah racconta che suo figlio Ahmad Jimah Abujazar è stato rapito e portato in carcere otto anni fa durante un raid israeliano, lo stesso giorno la loro casa è stata distrutta. Ahmad aveva 18 anni quando è stato rapito e deve scontare diciassette anni di carcere. Durante questi primi 8 anni di detenzione Aysha non ha potuto parlare con il figlio nemmeno per telefono.
La madre di Ibrahim Majdoub, che è stato messo in carcere quando aveva 19 anni e che ora ne ha 25 , racconta che il figlio è riuscito a telefonare a casa una volta l’anno scorso. È stato preso perchè si trovava in cisgiordania con un ID gazawo, e quindi, secondo i soldati israeliani, doveva necessariamente essere parte della resistenza.
Dal 1967, oltre 760 mila palestinesi hanno fatto l’esperienza del carcere israeliano. Tra di essi ci sono 13 mila donne e 25 mila bambini tra i 12 e i 18 anni.
Secondo i dati di Infopal, attualmente il numero di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane è 6.100, 214 di questi sono in detenzione amministrativa (cioè senza accuse, situazione prorogabile ad oltranza, in un caso addirittura per 60 mesi). 251 sono i minori, tra cui 32 minori di 16 anni. Tra i prigionieri ci sono anche dieci tra deputati e ministri palestinesi, due di loro sono stati condannati all’ergastolo: Marwan al-Barghouthi e Mahmoud Ramahi. 203 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane sono stati assassinati dopo l’arresto o sono morti durante la detenzione.




Fahmi Kanan è una delle 214 persone che hanno resistito all’interno della Basilica della Natività per 39 giorni, in seguito è stato deportato a Gaza, a maggio saranno passati 10 anni senza la possibilità di incontrare la sua famiglia.
«Ho un messaggio da diffondere, da parte dei deportati di Betlemme – spiega – la comunità internazionale e le Nazioni Unite devono interferire per fermare i crimini israeliani contro la legge internazionale ed in particolare contro la convenzione di Ginevra. Impedire alle persone di rivedere la propria famiglia, come è accaduto a noi ed accade costantemente e tutti i prigionieri è un crimine, le famiglie non possono visitare i prigionieri e loro sono umiliati in prigione. Il mondo deve intervenire per rilasciarli! Shalid è l’unico prigioniero israeliano nelle carceri palestinesi, e tutto il mondo fa appelli perchè venga rilasciato, mentre noi abbiamo quasi settemila prigionieri nelle carceri israeliane e nessuno dice niente.
Aggiungo io che Shalid è stato preso durante l’invasione in un territorio sotto l’autorità palestinese, mentre gran parte dei prigionieri palestinesi sono stati rapiti, sottratti alle loro stesse abitazioni, e alle forze di occupazione israeliane non è necessario né un mandato né un pretesto per effettuare gli arresti.

domenica 6 febbraio 2011

Appello dagli studenti di Gaza: fare dell'apartheid week 2011 la più grande finora.

Siamo studenti palestinesi, artisti, intellettuali, insegnanti, attivisti ed individui di diverse prospettive ed affiliazioni politiche. Vi scriviamo dall'assedio medioevale e brutale a cui è sottoposta Gaza, per chiedervi di partecipare ed organizzare la settima settimana dell'apartheid israeliana (IAW – Israeli Apartheid Week)[1], che inizia in tutti il mondo il 7 marzo 2011. Chiediamo ai gruppi di solidarietà e ai singoli di seguire, durante questa settimana, i vibranti passi dei tunisini ed egiziani creando una settimana di azioni contro l'Apartheid israeliana che faccia eco alla forza ed altezza dei movimenti contro l'apartheid sudafricana degli anni 70 ed 80.

Lo scopo della IAW è di informare le persone riguardo la natura di Israele come un sistema di apartheid e costruire campagne di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) come parte del movimento globale BDS. [2] Durante quella settimana vi chiediamo, coraggiosi attivisti solidali con la Palestina, di informare, di sostenere azioni di boicottaggio contro Israele, e di di dare luogo ad azioni dirette di massa senza precedenti tali da smuovere la gente in tutto il mondo in modo che Israele resti senza sostenitori. Qui a Gaza saremmo felici di collegarci con voi attraverso video conferenze via Skype ed interviste radio, per raccontare le nostre vite a Gaza, la campagna BDS e lo scopo dell'Israeli Apartheid Week dopo il successo dell'anno passato.

ADESSO è il momento di azioni di massa per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, evidenziando ed opponendosi al giogo barbarico di Israele, agli assassinii e alla pulizia etnica nei nostri confronti, la gente originaria della Palestina. È tempo ora per tutti noi di intensificare il messaggio che i governi complici nella continua barbarie di Israele contro la nostra gente vengano messi a nudo e cambiati. Salutiamo il coraggiosi popoli del nomdo arabo che ci hanno ispirato così fortemente nelle nostra lotta contro il più grande violatore di risoluzioni delle Nazioni Unite, il più grande stato fuorilegge.

Per quanto tempo noi, palestinesi di Gaza, dobbiamo sentirci dire che nel nostro caso va bene  vivere sotto un assedio medioevale confinati via terra, mare e cielo? La maggior parte di noi non può uscire da questa stretta striscia di terra, la più larga prigione a cielo aperto del mondo e la maggior parte degli adulti non ha possibilità di lavorare. 800.000 di noi, più di metà della nostra popolazione, sono bambini. Siamo ancora in lutto a causa degli attacchi israeliani dell'inverno 2009, quando 1400 persone sono state assassinate, e tra queste 350 bambini. Mentre gruppi in difesa dei diritti umani e lo stesso rapporto Goldstone delle Nazioni Unite evidenziano e documentano l'ampio catalogo di abusi verso i diritti umani, crimini contro l'umanità e punizioni collettive, la giustizia internazionale e i governi scandalosamente non agiscono in alcun modo. A causa di questa inazione ci aspettiamo più massacri, più confische di terre, più imprigionamenti e più soggiogamento razziale.

Certo, Israele ha il quarto esercito più forte del mondo, ma questo non ha mai impedito a palestinesi di resistere. Adesso ci sono maggiori possibilità di prima di raggiungere la giustizia. Prima e più potentemente agiremo, prima questa pagliacciata avrà fine, e prima arriverà il giorno che la gente di Palestina potrà emanare un sospiro di sollievo, in quanto per lo meno potremmo avere gli stessi diritti umani di chiunque altr*, al posto di questa vita in cattività, umiliazioni, sogni spezzati, case distrutte e perdita di persone amate.

Oltre 170 organizzazioni palestinesi hanno lanciato un appello nel 2005 per boicottare, disinvestire ed imporre sanzioni contro Israele fino a che non ponga un termine alle sue politiche di occupazione e colonizzazione contro i nativi residenti nella terra occupata, fino a che non garantisca il diritto al ritorno del popolo palestinese alle proprie case, e dia uguali diritti ai palestinesi residenti in Israele. [3]

Come molti eroi contro il regime razzista sudafricano, l'arcivescovo Desmond Tutu e Ronnie Kasrils hanno dichiarato che ci stiamo confrontando con un'oppressione più feroce di quella che hanno sopportato loro, e si sono uniti all'appello per il boicottaggio. In un tour nella Cisgiordania, Madlala Routledge, ministro della difesa sudafricano dal 1999 al 2004 ha detto: “è difficile per me descrivere i miei sentimenti. Quello che vedo qui è peggiore di quello che ho vissuto...il controllo completo sulla vita delle persone, la mancanza di libertà di movimento, la presenza dell'esercito ovunque, la completa separazione e l'estensiva distruzione che abbiamo visto”.

Vi invitiamo a fare di questa Israeli Apartheid week la più grande finora. ADESSO è il momento di cercare di evitare il prossimo, imminete massacro. Solo la società civile internazionale può scoraggiare un altro massacro, può finire l'assedio, può portarci giustizia. Se i governi internazionali non agiscono, sta a voi svegliare il mondo e cambiare il corso della storia. Come in Sudafrica lo sbilanciamento tra il potere di immagine in questa lotta può essere controbilanciato da un potente movimento con il BDS in testa.

L'anno scorso l'Israeli Apartheid Week è stata ospitata in 40 città – quest'anno ce ne aspettiamo oltre un centinaio. Noi Palestinesi del bantustan di Gaza acciamo appello a voi per iniziare ora i preparativi e fare di questa Israeli Apartheid Week una che venga ricordata, ma ancor prima un catalizzatore di cambiamento. Voi sapete di avere da noi il massimo del supporto che vi possiamo dare. Gli eventi dell'ultimo mese mostrano che nel mondo arabo può davvero accadere che un potere oppressivo venga rimosso. Dipende da noi.




PSCABI (Palestinian Student Campain for the Academic Boycott of Israel)