Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


martedì 12 novembre 2013

Qualche buona ragione per essere a Torino dal 30 novembre al 2 dicembre (quarta parte)


Con questo post vorrei chiudere il cerchio, come si dice, riguardo questi 4 post sulle ragioni per andare a Torino a manifestare dal 30 novembre al 2 dicembre; senza pretendere di esaurire l'argomento, ma cercando di tirare le fila di quanto detto finora aggiungendo nuovi elementi.  (potete trovare le prime tre parti qui, qui e qui)

Vorrei focalizzarmi sul perchè Israele sarebbe quello che Monti chiama una “start up nation”; o, in altre parole, andare a vedere alcune ragioni sul perché l'economia israeliana sia così prospera o perlomeno perché negli ultimi 40-50 anni sia cresciuta così velocemente. Perché il fatto che l'economia israeliana sia in così forte crescita non è slegato dal commercio di armi e dal commercio di know how e tecnologie per il controllo di massa; come non è slegato dall'essenza stessa di Israele: l'occupante sionista del popolo e delle terre palestinesi riesce ovviamente a trarre profitto dal popolo e dalle risorse che ha occupato.

Andiamo ad osservare, quindi, la storia economica di questa “start up nation” che Letta vuole imitare. Il primo boom economico è stato dopo la guerra dei sei giorni, dopo cioè l'occupazione di Cisgiordania e Gaza. La crescita è stata del 12.6% annuo ad è durata 66 mesi. Perché questa crescita proprio in questo periodo?

In un articolo a firma del Dr. Assaf Oron comparso su Electronic Intifada il 28 Ottobre 2013, vengono spiegate alcune delle ragioni:

  • Le grandi masse di lavoratori palestinesi che raggiungevano i territori occupati nel '48 oltre a fornire manodopera sottopagata, erano tenuti a pagare le tasse ad Israele, quest'ultimo in teoria avrebbe dovuto versarle all'ANP, cosa che non ha mai fatto.
  • La presenza di un numero considerevole di palestinesi che svolgevano i lavori più umili ha permesso a molti israeliani di fare il salto verso la classe media e diventare imprenditori
  • La merce prodotta dai palestinesi aveva un costo più basso, e gli israeliani potevano permettersi di fare la bella vita; si registra anche per questo un boom dell'edilizia.
  • Erano stati conquistati nuovi terreni in aree dove il lavoro (dei palestinesi) costava poco: questo ha permesso la nascita delle colonie e quindi la crescita di nuove aree economicamente fruttuose.
  • Viene imposta la valuta israeliana ai territori appena occupati, oltre che fortissime restrizioni all'import da altri Paesi, rendendola un mercato pressoché esclusivo per le merci israeliane.
  • Prodotti israeliani venivano catalogati come palestinesi e quindi potevano bypassare il boicottaggio deciso da alcuni Paesi arabi, e in questo modo si aprivano nuovi mercati all'economia israeliana (in particolare per quanto riguarda l'agricoltura).
  • Il territorio occupato viene sfruttato direttamente, sia per quanto riguarda l'agricoltura che per quanto riguarda le altre risorse (per esempio il petrolio, in particolare è da segnalare che ultimamente Israele ha scoperto un nuovo giacimento che si trova per il 60% in territorio palestinese).
  • L'occupazione militare in se' diventa un business, sia perché vengono costruite nuove basi in Cisgiordania che perché il numero di impiegati nel settore aumenta del 150%.

L'articolo conclude dicendo che se l'occupazione ha creato un boom nell'economia israeliana in quegli anni, successivamente, come per esempio durante la prima intifada è stata causa di guai.



Se la prima parte dell'articolo è decisamente condivisibile, sulla conclusione potrebbe sorgere qualche dubbio, anche facendo riferimento a libri con “shock economy” di Naomi Klain. Ma partiamo dall'osservare qualche dato. Nel seguente grafico sono rappresentati il prodotto interno lordo pro capite di Israele e il cambiamento percentuale di export di beni e servizi. Sull'asse X sono riportati gli anni a cui fanno riferimento i dati (che vengono dal sito della Banca Mondiale) e sull'asse Y la scala è differente per le due serie di dati: per quanto riguarda il PIL ogni riga orizzontale corrisponde ad un incremento di 5000 dollari americani, e per quanto riguarda l'export di un incremento del 5%.





A conferma dell'idea di Oron, durante la prima intifada (gli anni successivi al 1987) si ha un calo dell'economia e anche un calo degli export. Dopo gli accordi di Oslo e in particolare in questo caso il trattato di Parigi, si ha un periodo di prosperità, in cui aumenta l'export e l'economia cresce. All'inizio della seconda intifada (2000) si ha un brusco calo degli export e una leggera battuta d'arresto dell'economia, però in questo caso la situazione non si protrae come nel caso della prima intifada, affatto. In questo caso dopo un primo momento, l'economia ricomincia a crescere, e in paricolare l'export. Sembra quasi che i sionisti abbiano imparato a trarre vantaggio dall'intifada, o almeno dalle tensioni con i palestinesi. Infatti, durante il resto dell'Intifada, l'economia cresce. E dopo qualche anno si ha di nuovo una fase in cui gli export non sembrano andare così bene, con un picco negativo nel 2009. Questa fase ha termine con piombo fuso: dopo l'attacco terroristico israeliano a Gaza gli export aumentano di nuovo. Perché? Che cosa esporta Israele? Non sono certo i momenti di tensione con i Palestinesi quelli più convenienti per esportare merci ai Paesi confinanti... qualche idea, su cosa Israele esporti e a chi, dovrebbe emergere dai post precedenti di questa serie, in cui si descrive come Israele esporti armi, "know how" e tenologie di controllo e repressione.

Per dirlo con le parole di Naomi Klein su Shock Economy:



“Quando la nicchia di Israele nell'economia globale si rivelò essere la tecnologia dell'informazione fu chiaro che per crescere era necessario inviare softwere e chip per computer a Los Angeles e Londra, non carichi pesanti a Damasco. […]
Lo slogan che Israele declamava al Nordamerica e all'Europa era semplice: la Guerra al terrore nella quale vi state imbarcando è una guerra che noi combattiamo da sempre. Le nostre aziende high-tech e le aziende di spionaggio vi mostreranno come si fa. […]
Sulla CNN Gillerman [direttore della federazione delle camere di commercio israeliane] disse che “sebbene possa essere politicamente scorretto, e forse anche falso, dire che tutti i musulmani sono terroristi, si da il caso che sia verissimo che quasi tutti i terroristi sono musulmani. Dunque, questa non è solo la guerra di Israele. Questa è la guerra di tutto il mondo.”



In pratica, l'idea è che le tecnologie e metodi di controllo e repressione che utilizza Israele nell'occupazione della Palestina, appaiano all'occidente come qualche cosa che funziona, qualche cosa di già sperimentato, un prodotto affidabile in somma. Così, gli apparati repressivi che ci arrivano contro apprendono da chi nella repressione è maestro, cioè i sionisti. Così facendo, non solo hanno tra le mani un prodotto funzionante, ma mantengono anche florida l'economia israeliana.



Fermiamo il commercio di morte tra Italia e Israele: un'altra ragione per essere a Torino dal 30 novembre al 2 dicembre.

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